Quando nel 1777 fu sancita la creazione del Real Museo di Napoli, si decise che nello stesso edificio, oltre al Museo, dovessero trovare posto anche la Real Biblioteca e l’Accademia di Belle Arti. Quello che si voleva era, dunque, un palazzo dedicato al sapere e alla sua diffusione, secondo ideali tipici della cultura illuministica del tempo.
In tale contesto, il Salone della Meridiana è stato per quasi un secolo e mezzo (1783–1926) lo spazio più rappresentativo della Biblioteca Borbonica (poi Nazionale) e molto vi si conserva della sua decorazione tardo settecentesca. In particolare, l’affresco di Pietro Bardellino (1781), che ne decora il soffitto, celebra la gloria dei sovrani borbonici come protettori delle arti, ricordando in un cartiglio che le stesse si spengono se non sono promosse e sollecitate: “Iacent nisi pateant”
In tale contesto, il Salone della Meridiana è stato per quasi un secolo e mezzo (1783–1926) lo spazio più rappresentativo della Biblioteca Borbonica (poi Nazionale) e molto vi si conserva della sua decorazione tardo settecentesca. In particolare, l’affresco di Pietro Bardellino (1781), che ne decora il soffitto, celebra la gloria dei sovrani borbonici come protettori delle arti, ricordando in un cartiglio che le stesse si spengono se non sono promosse e sollecitate: “Iacent nisi pateant”
Nel 1971 il salone si arricchì di una meridiana solare ancora oggi perfettamente funzionante, costruita presso l'angolo sud-occidentale su disegno dell’architetto Pompeo Schiantarelli e dello studio dell’astronomo Giuseppe Casella. L’opera, alla quale si deve l’odierno appellativo del salone, rientrava nel progetto, poi abbandonato, di istituire presso il Palazzo degli Studi il primo osservatorio astronomico napoletano, poi costruito tra il 1812 e il 1819 sulla collina di Capodimonte.
Col tempo, il bisogno di spazio per le collezioni museali, in costante incremento, portò alla decisione di trasferire la Biblioteca a Palazzo Reale in piazza del Plebiscito (1926). Da quel momento l’imponente salone settecentesco, sgombro delle scaffalature lignee che ne avevano ricoperto le pareti, è rimasto aggregato al Museo.
Col tempo, il bisogno di spazio per le collezioni museali, in costante incremento, portò alla decisione di trasferire la Biblioteca a Palazzo Reale in piazza del Plebiscito (1926). Da quel momento l’imponente salone settecentesco, sgombro delle scaffalature lignee che ne avevano ricoperto le pareti, è rimasto aggregato al Museo.
La sistemazione attuale – che riunisce alcune importanti opere per lo più d’età romana – si ispira da vicino a quella realizzata un secolo fa, sotto la Direzione di Amedeo Maiuri (1927) per quello che era allora il Salone degli Arazzi del Museo Nazionale di Napoli (oggi a Capodimonte), di cui sono stati recuperati diversi elementi: due panche ottagonali del 1907, alcune vasche, tra cui quella in pavonazzetto identificata nei depositi e ricomposta, nonché due labra, che facevano parte della collezione di Carolina Murat; il labrum in rosso antico da Pompei su base della fine del XVIII secolo e quello settecentesco, con sostegno a tripode con teste leonine.Sul fondo sono collocati i due celebri candelabri in marmo di Piranesi, esempio sapiente del riuso neoclassico di frammenti antichi "ricombinati" in un'opera moderna.
Infine, due statue raffiguranti le muse Urania ed Erato e provenienti da Ercolano richiamano la gloria delle Arti, raffigurata nell'affresco del Bardellino sulla volta del Salone e il celebre Atlante appartenente alla collezione Farnese.